Hic
In Aeternum
Il mio nome è
Benedetto e, per quanto ne so, ho dimora su questa terra da più
tempo di chiunque altro. In vita ho messo in pratica la Parola del
Signore con umiltà e compassione e sono sempre stato considerato un
uomo retto; da quando sono morto, invece, non faccio altro che
deludere coloro che ripongono la loro fede in me.
Questo accade perché
la Chiesa Romana mi ha dichiarato santo più tre secoli fa e i fedeli
si tramandano miracoli avvenuti in mio nome, io stesso ne avrei
compiuti alcuni in vita.
La mera realtà è
un'altra: io non ho mai visto la luce del volto di Dio, non ho mai
varcato le soglie celesti, non ho mai calcato suolo che non fosse
quello terreno.
Non so come sia
potuto accadere, non so se si tratta di un'altra pagina dello
spartito divino o se, semplicemente, dovrò attendere la fine dei
tempi e il Giudizio Universale per sapere quale sarà il mio destino.
E nemmeno c'è qualcuno a cui chiedere, perché non posso percepire
nessun altro nella mia stessa condizione. All'atto del mio ultimo
respiro ho chiuso gli occhi e ho desiderato che il Signore mi
accogliesse nel suo definitivo e amorevole abbraccio paterno ma non è
successo nulla e mi sono risvegliato subito. Ero in piedi, accanto
al mio vecchio corpo inerte che giaceva sul letto. La mia amatissima
figlia aveva chiuso le mie palpebre per celare la fissità di quegli
occhi spenti, il parroco aveva benedetto le mie spoglie mortali
invocando il nome di mia moglie, che mi accogliesse nei pascoli
eterni. Io mi struggevo cercando di capire che cosa non avesse
funzionato, come avessi potuto mancare l'appuntamento divino.
Chiudevo e spalancavo gli occhi a più riprese sperando che l'errore
si risolvesse e mi ritrovassi di fronte ad una realtà differente. Ho
invocato a lungo il nome di Dio, giurando di confidare in lui e nel
suo giudizio, affidandomi alla sua bontà e alla sua misericordia,
mentre il dubbio si insinuava sottilmente nel mio animo fedele, ho
gridato e ho scoperto che nessuno dei vivi poteva sentirmi né
rendersi conto della mia presenza.
Probabilmente ho
semplicemente avuto quello che meritavo, il nulla, il continuo
perpetuarsi di giorni inutili e vuoti, senza la possibilità di
comunicare col mondo né di interferire in alcun modo con l'ordine
delle cose. Non posso leggere se qualcuno non apre il libro per me,
né vedere un film se nessuno accende la televisione. Posso osservare
e basta. Nei primi decenni ho seguito le vicende della mia famiglia,
appassionandomi ad esse, dolendomi nelle sconfitte e gioendo per le
vittorie, spettatore di una soap opera post-medioevale; ma con il
trascorrere delle generazioni, le vicende dei miei discendenti hanno
perso il loro ascendente su di me, era passato troppo tempo perché
potessi ancora vedere qualcosa di mio in quelle persone.
Una notte di
inverno, a più di un secolo dalla mia dipartita ufficiale sono
partito, abbandonando i miei luoghi natali, in cerca di risposte: ho
frequentato i luoghi del potere e ne sono rimasto disgustato
allontanandomene, ho viaggiato, ho frequentato lezioni di filosofia,
ho seguito lo sviluppo tecnologico, ho partecipato alle sedute di
meditazione dei più famosi maestri zen giapponesi, ho trascorso mesi
in una buia caverna cercando di raggiungere io stesso
un'illuminazione che mi permettesse di trovare una ragione al mio
stato.
Poi mi hanno fatto
Santo. La cerimonia è stata addirittura divertente, con tutta quella
pomposità, quegli incensi, quegli inni di cui non comprendevo il
senso, quelle persone inginocchiate di fronte al mio simulacro.
Chissà chi o che cosa dà alla Chiesa tutte quelle certezze, magari
c'è davvero qualcuno che parla con Dio. Mi ero interessato alla
questione in passato frequentando le stanze da letto di alcuni
mistici e, mi dispiace dirlo, dormivano sonni troppo profondi per
essere anime peccatrici in lotta col demonio.
Ed io ridevo,
stolto, mentre inneggiavano al mio nome, senza sapere come
quell'avvenimento avrebbe influito sulla mia esistenza. L'ho capito
col tempo, perché se le preghiere delle alte cariche ecclesiastiche
possono risuonare false e gonfiate all'orecchio, esistono preghiere
sincere, di persone che sperano e necessitano davvero di un aiuto che
io non posso dare.
Hanno costruito
chiese a me dedicate, di cui una enorme in America Centrale dove la
gente è solita andare in pellegrinaggio offrendo le proprie
sofferenze in cambio di una grazia.
Ho fatto di questo
luogo di culto la mia casa e ascolto tutte le preghiere che mi
vengono sussurrate. Esserci per tutte quelle persone che si affidano
a me come ultima spiaggia è il minimo oltre che l'unica cosa che
posso fare. L'impotenza mi ha corroso rendendomi cinico più di
quanto avesse fatto la vita stessa, obbligarmi ad ascoltare tutte
quelle tragedie mi ha permesso di afferrare a fondo la famose frase
di Erodoto: “La peggiore delle pene umane è proprio questa:
comprendere molte cose e non avere su di esse alcun potere.”
Secondo logica sarei
dovuto impazzire in poco tempo ma la follia è una delle tante cose
che non mi è più concessa: eppure l'avrei accolta a braccia aperte
e con un sorriso ironico sulle labbra. Io che in vita l'avevo evitata
il più possibile e l'additavo come sintomo della presenza del
demonio a contaminare l'anima delle persone, ora la bramavo con tutte
le forze, la chiamavo perché venisse a liberarmi dalla mia impotenza
e urlavo la mia frustrazione a quel mondo che non poteva sentirmi. Ne
coglievo l'ironia, eccome se ci riuscivo, ma non mi importava più,
tutti hanno bisogno di un senso al proprio esistere e, se questo
senso scompare, la perdita della realtà sarebbe stato un ottimo
surrogato.
Non c'è nemmeno una
luce verso cui andare: quella millantata dalla televisione e
descritta da chi ha avuto esperienze extra-corporee; nessuna fonte di
gioia e calore ad attendere che io mi decida a raggiungerla. Negli
ultimi anni sogno spesso quella luce, tutte le notti mi ossessiona.
La vedo vicinissima a me, posso quasi sfiorarla con le dita. Faccio
un passo e questa si allontana, ne faccio un altro e succede lo
stesso. Allora inizio a correre e mi accorgo di essere nudo. Il mio
obiettivo, lo scopo che bramo da secoli è lì, quasi a portata di
mano. Corro a perdifiato mentre la luce si allontana sempre di più,
ogni volta la inseguo con ostinazione finché, finalmente non smette
di distanziarmi e comincio ad avvicinarmi. Arrivo a pochi passi da
essa, l'ho quasi raggiunta, posso quasi sentire che mi accoglie ma
ogni volta si dissolve di fronte ai miei occhi.. Succede sempre lo
stesso ma i sogni non hanno memoria e la delusione è sempre la
solita, straziante, che sembra mutilarti l'anima.
Almeno avessi un
motivo per ritrovarmi qui: una qualsiasi questione irrisolta, un
debito da pagare, un contenzioso con Dio da poter risolvere sulla
terra. Ma non è così, ho avuto secoli per pensarci e non ho molto
della mia vita passata di cui pentirmi. E' quello che c'è dopo la
morte che fa schifo. Vivere ho vissuto, ho fatto le mie scelte, ho
fatto errori ma la fede in Dio era il mio bastone per scavalcare ogni
avversità. Era più facile di adesso la fede. C'era Dio ed era
facile semplice credere in Lui: i problemi più grandi -fame,
epidemie, guerre- erano esterni all'uomo inteso come singolarità.
Era solo Dio che poteva intervenire ed io credevo ciecamente in un
Suo disegno più grande.
Adesso che ogni
giorno mi ritrovo ad ascoltare le preghiere delle persone mi rendo
conto di quanto sia più complicato avere fede. Forse è questo il
mio destino dopo la morte. Ogni tanto mi immagino seduto ad una
scrivania bianca, ben vestito, un'espressione pacata in viso. Sono
davanti ad una telecamera e sto girando una specie di spot
pubblicitario. Con il tono più rassicurante in mio possesso dico:
“Io sono qui per te e ci sarò sempre, al massimo delle mie
possibilità. Puoi contarci e puoi fidarti di me.” E dentro di me
penso:” “Questo è vero, io ci sarò ma per te non potrò fare
nulla”. E questa immagine mi distrugge da dentro.
Perché non è una
sola preghiera al giorno, non sono decine, non centinaia, ma migliaia
di persone, un numero incalcolabile nel corso dei secoli che mi
affidano sé stesse. Non è cercare di fermare un torrente con le
mani, è contrastare una marea potendo contare sul più
insignificante tra gli atomi di idrogeno. E' sapere che un fiume sta
andando a distruggere una città e poterlo osservare mentre provoca
dolore e morte da una postazione privilegiata.
Non so se, come me,
chiunque sia morto si ritrova oggi a vagare sulla terra senza
destinazione e senza uno scopo, invisibile a tutti o se, invece, sono
l'unico fortunato. Certe volte però, immagino le grandi menti del
passato che, dopo aver scoperto gli errori delle loro elucubrazioni,
vagano peregrine su questa terra, disilluse e ridenti, e si godono lo
spettacolo dei vivi mentre questi, in un'eco di shakespeariana
memoria, si dimenano ingaggiando una strenua lotta contro la morte,
trascinando le proprie esistenze sull'enorme Palcoscenico.